Marzo 2013: Un viaggio nell’ultima sfavillante sala giochi della Capitale

Continua la collaborazione con Dinamo Press e continua, naturalmente, la nostra inchiesta sui luoghi del ‘gioco’ d’azzardo, che disgregano i legami di socialità e soliarietà dei territori in favore degli interessi di pochi.

Ripubblichiamo quindi con entusiasmo l’articolo che abbiamo scritto per Dinamo Press:

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Venerdì sera c’eravamo anche noi all’inaugurazione del Dubai Palace. Siamo andati a vedere con i nostri occhi il nuovo paradiso del “gioco” d’azzardo appena aperto sulla Tiburtina, l’ennesimo in una zona di Roma che somiglia sempre più ad una Las Vegas nostrana. Ne avevamo già parlato qui: Las Tiburtinas.
Percorrendo all’andata la Tiburtina passiamo davanti alle innumerevoli sale bingo, sale VLT, sale per il poker-live che hanno invaso la zona: il Manhattan Caffè, il Las Vegas, l’Admiral Club, il Black Jack Caffè, l’Intralot Royale, il Dubai Caffè e infine, la nostra meta, “il nuovo tempio del lusso”: il Dubai Palace. Tre Ferrari rosse affittate per l’occasione, parcheggiate fuori dall’ingresso, ci accolgono.

L’intera superficie esterna dell’edificio è illuminata con luci a neon violentemente colorate, sopra l’ingresso una scritta rossa scorre annunciando l’apertura del Dubai. Una discreta folla e un groviglio di automobili intasano un tratto di Tiburtina inadeguata ad ospitare questa mega-struttura e il traffico che genera. Più tardi, neanche le macchine dei vip riusciranno a trovare parcheggio, scortate a passo d’uomo da energumeni con l’auricolare, neanche si trattasse di capi di stato. In effetti, noi non abbiamo la più pallida idea di chi siano questi divi che scendono e si mettono in posa davanti a noi. E’ un altro mondo.

Superiamo un muro di uomini della sicurezza, entriamo. Artificiale è la parola d’ordine. L’illuminazione sgargiante e innaturale fa venir voglia di andare subito via. Musica anonima a basso volume. Le pareti sono imbottite, i pavimenti di moquette, tavolini, divanetti di pelle lungo le pareti, banconi di plastica bianca, specchi, affollati buffet dove abbuffarsi prima di fare una giocata. Ce n’è per tutti i gusti: c’è il negozio Snai, il lounge, il ristorante, la sala bingo, la sala giochi, e naturalmente il bancomat, su un totale di circa tremila metri quadri, una delle sale più grandi d’Italia -il co-proprietario Fabiano Valelli dice “ci hanno detto che è la più grande d’Italia.”

Poco o nulla sappiamo dell’assetto societario. L’unico socio che si mette sotto la luce dei riflettori è Fabiano Valelli, che tentò la carriera politica come candidato alla carica di consigliere comunale a Guidonia nel 2009, spendendo ben 200 mila euro per finanziare la campagna elettorale, intascando soltanto 162 voti.

 

 

Storditi, facciamo un giro. Il posto è pieno, un via-vai di facce lunghe, stanche, spente. Famiglie e gruppi di amici guardano in silenzio dai divanetti altra gente che passa, in balìa di quell’effetto di spossata alienazione tipica dei centri commerciali. Se non fosse per la folla, non si direbbe che questo sia un tempio del divertimento. Certo, bisogna capire che cosa si intende per divertimento.

La sala slot è il luogo dove una certa interpretazione di questo concetto ben si materializza, in stridente contrasto con quanto la parola divertimento dovrebbe secondo noi evocare. Entriamo in una stanza male illuminata, avvolti da una nube di fumo, assaliti da un caldo insopportabile, l’atmosfera è opprimente. Una grande scritta colorata a neon campeggia sulla parete, le macchinette slot allineate una dietro l’altra lungo le pareti e in tutta la sala, sono davvero l’immagine della tristezza: ansia, nervosismo e insofferenza diventano palpabili, ti aggrediscono fisicamente. Noi siamo preparati, ma io penso a chi non lo è, a chi subisce i luoghi, le passioni negative, senza saperlo. Vedo una signora anziana, sola, tentare di arrampicarsi su uno sgabello troppo altro davanti a una slot machine. Altri giocano senza mai guardarsi in viso, figuriamoci parlarsi.

Al centro della sala più grande c’è il privè, in cui c’è un piccolo palco con tavolini tutto intorno. Il privè è una teca di vetro, una sala di 1° classe dentro quella di 2°, una sala dalle pareti di vetro al cui interno si può solo guardare da fuori. Buttafuori e hostess magrissime in mini abiti di paillettes rossi stanno ai lati dell’ingresso come manichini a disagio.

La sala bingo somiglia a un misto tra il ristorante di un nave da crociera di finto lusso e una scena di un film americano girato in provincia. L’età media dei presenti è generalmente alta, con la presenza di giovani probabilmente della zona. L’impressione è che al di là dei vip, degli organizzatori e del loro giro di invitati, il pubblico degli avventori sia composto principalmente dalle fasce sociali più deboli.

Questo è un dato che fa riflettere. Si sa, il gioco d’azzardo, come i “gratta e vinci”, rappresenta per milioni di Italiani la speranza di migliorare la qualità della propria vita con un colpo di fortuna. Insomma in tempi di crisi, si paga anche la speranza. Facendo il gioco e gli interessi di pochi. Che lo Stato ci guadagni, e che le amministrazioni comunali e i municipi non riescano, o non vogliano, trovare le misure per contrastare un fenomeno così devastante dal punto di vista sociale e territoriale, un settore in crescita di comprovata infiltrazione criminale e campo di riciclaggio, noi non lo possiamo accettare.

Non ci accontentiamo neanche della distinzione tra gioco legale e gioco illegale.

Vorremmo che esistesse un regolamento comunale condiviso dai cittadini, che i municipi avessero potere di delibera rispetto alle richieste di licenze sul territorio, e che la politica agisse davvero secondo le esigenze e gli interessi dei cittadini, e non soltanto a favore di interessi economici di dubbia natura.

 

 

In questi giorni a Genova ha preso vita un movimento di protesta contro un progetto faraonico di sala giochi a Pegli. Grazie all’intervento di Don Gallo circa mille persone sono scese in piazza con il logo Casi-NO per dare battaglia alla diffusione incontrollata delle sale da gioco. Tra l’altro pare che, in questo come in altri casi, le carte non fossero affatto in regola.

L’assessore ai diritti e alle legalità del Comune di Genova Elena Fiorini si è schierata con una lettera aperta dalla parte dei manifestanti, con le seguenti motivazioni: “Il fatto che nei nostri quartieri si moltiplichino le sale da gioco, mentre molte attività commerciali utilissime al tessuto sociale soffrono o addirittura chiudono, rappresenta un serio e giustificato motivo di allarme. Sta aumentano il numero delle persone rovinate dal gioco o vittime di ludopatia mentre si rompono legami essenziali per la comunità locale.”

Su questo dato vorremmo riflettere e agire, e continueremo a farlo.

Chiudiamo con alcune domande a cui vorremmo delle risposte. Perchè a Roma sorgono come funghi mega sale-gioco, che trasformano violentemente il tessuto urbano dove sono inseriti? Quali interessi ci sono dietro? Da dove provengono i soldi spesi per fare il Dubai Palace?

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