Carnefici e Spettatori

Doppia presentazione dell’ultimo libro di Alessandro Dal Lago al Cinema Palazzo e nella facoltà di Sociologia

CARNEFICI E SPETTATORI.
La nostra indifferenza verso la crudeltà

Quali sono i criteri con cui la crudeltà, ampiamente mostrata dai media vecchi e nuovi, è occasione di sdegno o di intervento “umanitario”?

Con l’autore saranno presenti
Massimiliano Guareschi e Federico Rahola

domenica 9 ore 17.30 cinema Palazzo piazza dei Sanniti
lunedì 10 ore 10.30 facoltà di sociologia via Salaria

Evento in collaborazione fra Cinema Palazzo, Assemblea di Sociologia, Esc Atelier e Spazio Sociale 32

Recensione di Alberto Burgio su Alfabeta2

La questione che sin dal titolo questo agile saggio critico pone è una delle più complesse fra quelle lasciate in eredità dal Novecento, «secolo armato» che, come Dal Lago annota, ha prodotto con le sue guerre più vittime di quelle causate da tutti conflitti precedenti. Carnefici e spettatori, quasi una citazione di un celebre studio di Raul Hilberg: e il problema riguarda soprattutto il ruolo dei secondi, posto che la funzione dei primi pare di per sé inequivocabile. Il libro snocciola un’enorme massa di interrogativi. Questo è un merito, benché non a tutte le domande sia data una compiuta risposta.

L’impressione è che l’autore abbia avvertito il bisogno di chiarire, intanto a se stesso, la nuova forma che i temi della sua ricerca, da anni incentrata sulla guerra, sono venuti assumendo nel corso dell’ultimo decennio (a partire dalle «guerre democratiche» contro l’Afghanistan e l’Iraq di Saddam Hussein), man mano che l’impiego delle armi da parte dei paesi occidentali veniva definendosi in base a un nuovo paradigma ideologico, politico e giuridico. Come se si trattasse ora di prendere congedo da un insieme di ipotesi per avviare il disegno di un nuovo quadro di riferimento.

Qui è possibile appena nominare alcuni di questi interrogativi, giusto per farsi un’idea della loro portata. Si tratta del rapporto tra guerra e cultura occidentale (del «fondamento bellico» di quest’ultima); del rapporto tra principi morali e concrete pratiche sociali (in relazione alla cui contraddittorietà Dal Lago parla di «dissonanza cognitiva»); degli effetti della secolarizzazione (del «ritirarsi della presa del sacro sulle istituzioni umane» che determina la sacralizzazione delle istituzioni laiche e la denegazione della loro crudeltà); delle conseguenze della metamorfosi novecentesca della guerra, a seguito della sua mondializzazione. E, soprattutto, della ricostruzione del processo di neutralizzazione e occultamento della guerra, connesso alla sua esternalizzazione (la guerra si combatte ormai in luoghi remoti, lontani dalla nostra quotidianità) e al suo divenire «una normale caratteristica delle società occidentali».

Il paradosso di questa progressiva «rimozione» (lemma ricorrente nel testo) è che essa culmina proprio quando la guerra diviene totale, pervasiva, illimitata. Dal Lago spiega, nelle sue pagine più riuscite, come invisibilità, afasia e indifferenza trionfino al cospetto di un fenomeno non circoscritto e quindi «indefinibile» e «inesprimibile»: un’intuizione che circola già nelle ultime riflessioni di Foucault, autore a lui caro, e che qui egli approfondisce. Che cosa ne emerge? Un fermo atto di accusa «intellettuale e morale» verso la complice indifferenza degli «spettatori», cioè dell’opinione pubblica, cioè di noi tutti, a cominciare dagli intellettuali democratici fautori delle «guerre umanitarie». Così torniamo al tema di apertura. Centrale resta la complicata questione di che cosa significhi essere spettatori nella «società dello spettacolo», e di quali responsabilità morali e politiche a questo ruolo si leghino.

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