Il Manifesto: IL NO DI SAN LORENZO

APERTURA di Sandro Medici
– ROMA storie
IL NO DI SAN LORENZO
Cosa fare dei vecchi cinema è un problema che riguarda tutte le città e il diritto di tutti ad avere dei centri culturali liberi. A Roma un intero quartiere, quello storico dei partigiani, ha deciso di opporsi all’ennesima riconversione in casinò. E così il Palazzo è tornato a vivere

Il Palazzo non è l’unico vecchio cinema chiuso. A Roma ce ne sono tantissimi, dimenticati e abbandonati. Restano così per anni, decenni. Malinconiche testimonianze di antiche stagioni cinematografiche, di serate cinemascope con gli amici o le famiglie e pagnottelle al seguito, tra battute e intossicazioni da fumo di sigarette senza filtro. A volte riaprono, quasi sempre diventando sale Bingo. E chissà se fa più tristezza vederli chiusi o trasformati in lotterie plastificate. Sia come sia, è da tempo che il circuito delle sale cinematografiche soffre una crisi di mercato che sembrerebbe irreversibile, da cui si salverebbero le sole multisale con il loro straripante corredo di pop-corn a secchiate.
Succede però che, per una volta, questa inesorabile deriva s’infranga inaspettatamente. C’è un intero quartiere di Roma, un quartiere peraltro ad alto tasso simbolico, che ha deciso di opporsi all’ennesima riconversione di un cinema. Alla notizia che il Palazzo si sarebbe trasformato in un non meglio precisato Casinò, San Lorenzo, il vecchio quartiere dei ferrovieri e dei partigiani, oggi popolato da tantissimi studenti della Sapienza, lungo un passaparola sempre più incalzante e indispettito, ha deciso che di videogiochi e scommesse non se ne sente per nulla il bisogno e che, anzi, il vecchio teatro dove hanno recitato Petrolini e Totò deve riaprire subito.
Detto e fatto. Il 15 aprile scorso sono entrati e hanno cortesemente pregato gli operai che stavano ristrutturando la sala di prendersi i loro attrezzi e andarsene via. Da quel giorno, è un viavai di gente, si discute e si ragiona, si suona e si canta, si fanno le prove e ogni sera c’è uno spettacolo. Inutile dirlo, è sempre un pienone.
L’aspetto più interessante, perfino edificante, di questa occupazione è che nel Palazzo girano ragazzi e ragazze, ovviamente, ma anche gli anziani, la gente di San Lorenzo che non sempre apprezza le turbolenze giovanili, gli affollamenti notturni, il proliferare vociante e rumoroso negli interminabili fine-settimana. Tutti insieme s’interrogano su come gestire l’occupazione e, soprattutto, su cosa dovrebbe diventare in futuro quel vecchio cinema. Che è poi un interrogativo che riguarda tutti i romani e tutta Roma. E rimanda al problema dei problemi di ogni città: esiste la possibilità di insediare nei quartieri centri culturali liberi e indipendenti, aperti a tutte le esigenze sociali e a tutte le espressività artistiche?
Per come sono organizzate le città, con un’urbanistica di fatto completamente privatizzata e un intervento pubblico volutamente rinunciatario, verrebbe da rispondere no, non è possibile. Non solo perché la proprietà immobiliare privata è del tutto indisponibile a promuovere attività sociali, compresa com’è nella sua ruvida ed esclusiva funzione di ottenere il massimo profitto. Ma anche perché le amministrazioni locali, il proprio patrimonio immobiliare, lo svendono per sostenere i sempre più esangui bilanci. E in questa tenaglia resta schiacciato lo spazio sociale, il bene comune: quel diritto alla cultura che dovrebbe essere garantito a tutti e a tutte.
Il caso del cinema Palazzo è esemplare. Il proprietario (Paoletti Mobili) ha affittato la sala a una società (Cameni). Lo scopo di questo contratto è sfruttare lo spazio a doppia mandata: la rendita derivante dalla locazione e il profitto conseguente alle attività commerciali. Il fatto poi che queste ultime non siano tra le più nobili, tra giochi d’azzardo e scommesse, possibili riciclaggi finanziari e partecipazioni a volte opache, diventa un valore aggiunto, ma in negativo, dell’intera operazione.
In questo quadro, c’è poi da considerare l’atteggiamento dell’amministrazione comunale, finora silente e passivo. Come peraltro era facile prevedere, vista l’assoluta inerzia (se non l’ostilità) della giunta Alemanno verso qualsiasi cosa che solo odori di cultura. Tranne le sfilate dei gladiatori e il carnevale papalino, non sembra particolarmente interessata a sostenere iniziative sociali indipendenti. Vedremo nei prossimi giorni cosa sceglierà: se continuare in questa accigliata neutralità o sostenere le prerogative proprietarie.
Ovviamente, molto dipenderà da quanto e come l’occupazione riuscirà a consolidare il consenso intorno alle sue attività. E c’è da dire che, oltre al sostegno del quartiere, va crescendo anche quello della cultura cittadina. Non passa giorno che non arrivi un attore, un musicista, un regista, spesso offrendo la propria disponibilità a organizzare serate e spettacoli. Memorabile, qualche sera fa, l’apparizione di Franca Valeri: con i suoi novantuno anni, è rimasta per oltre un’ora sul palcoscenico, intervistata da Sabina Guzzanti, incantando con la sua arguzia e la sua intelligenza. La partecipazione di artisti e intellettuali non era scontata. E forse il cinema Palazzo, per la sua storia prestigiosa e per il bisogno di contemporaneità che esprime in questa battaglia, potrebbe diventare l’occasione in cui la cultura e la politica finalmente s’incontrino.

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