Liberare l’arte per liberare noi stessi

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Che lotta impari. Convincere che la cultura sia più importante dell’azzardo.

Un ristoro che ricompensi dalle fatiche quotidiane per molti ma non per tutti.
Il vizio al rilancio, la possibilità di una vincita rancida nel retrogusto dell’illusione che finisce al cesso. Non ho vinto nulla ma se avessi vinto quanto donne avrei avuto, cosa avrei guidato, quante persone avrei potuto umiliare. Non è un gioco. Sono molti giochi in uno, la reazione a catena dell’avere con tutte le sue conseguenze di contro il muro dell’essere. A cosa servono i libri se non sono libri paga. A cosa servono i rapporti umani se non vengono alla fine trasformati in rapporti economici.
Riflettevo tra me e me di queste cose sul far del tramonto a 150 giorni circa dall’inizio di una occupazione folle, matta e disperatissima quanto le volontà dell’Alfieri. Salvare un libro meriterebbe il gesto estremo dell’incatenamento. Salvare una foca, il consumo di una caramella particolare a quanto pare ultima speranza anche per gli orsi del polo.
Impedire che un casinò per onanisti cosmici fosse aperto nel quartiere bombardato dagli alleati di quel san lorenzo già morto graticolato a suo tempo vittima di altre impervie ingiustizie, è stato un gesto estremo. Un gesto di resistenza alle fuorvianti regole di un marketing sociale nel quale segmentizzati, ciascuno nella propria nicchia acquirente, tutti alla fine finiscono fregati allo stesso modo. Il miraggio impone il pedaggio. La quota d’ingresso per partecipare a quella mensa privilegiata. La parola di un oscuro signore e la presunta salvezza. La cultura è l’antidoto, punto e basta. Niente casinò. Niente ricatti al sapore di quel fai come ti dico io e sarai come me.

Noi a leggere un libro, vedere un film, pensare e ridefinire spazi di teatralità, salvare la cultura. Una scommessa, questa si lecita, contro chi tronfiamente prende spazi ne ridefinisce usi e funzioni perché i soldi, il denaro contante, tutto possono.
Così eccoci qua dopo cinque mesi, lavoratori, lavoratrici, operai e operaie della cultura (Neruda permettendo) a ripetere la stessa cosa. A ribadire l’importanza di una pagina, di un gesto o di un suono. A ricordare come sia doveroso resitere ad ogni tentativo che il nostro essere possa subire in termini di assoggettamento. Accettando un plausibile senso all’inaccettabile.
Eccoci qui abbracciati dal quartiere, sostenuti da molti. Ripercorriamo in veloci immagini gli incontri, le parole e le opinioni scambiate più o meno emotivamente comunque in maniera viva, vitale. Vediamo come un sogno ad occhi aperti, alla distanza quanto abbiamo prodotto, proposto e offerto: proiezioni, incontri spettacoli.
Altre pratiche contro gli stagnanti luoghi comuni di una cultura che non ha domanda, che offre solo costi e non benefici. Quella cultura che non è conveniente perché non rende e costa troppo. Il sogno di una sala gremita è diventato realtà. Collettivamente individui nella volontà e nel sapere che ci rende liberi. Contro il manganello culturale, la fruizione volontaria. La partecipazione spontanea in risposta critica e antisommossa contro gli attacchi continui e vessatori di un mercato culturale che non vede intelligenze da nutrire ma cervelli da lobotomizzare attraverso meccanismi produttivi beceri in cui la condivisione del piacere diviene mera redistribuzione della stronzata. Apriamolo allora questo benedetto libro, srotoliamola pure questa benedetta pergamena e leggiamone i caratteri. Se incomprensibili decifriamoli perché tanti sono i codici, altrettante le interferenze. Più libri meno fiches. Per molti un incubo per altri una fonte di salvezza. Nostro dovere!
Liberare l’arte per liberare noi stessi. 150 giorni dopo le parole di Don Gallo, la resistenza di Renzo Rossellini, l’emozione civile di Franca Valeri siamo ancora qui. Siamo TUTTI noi!

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